Cavanna non è molto conosciuto in Italia, ma è conosciutissimo in Francia per aver creato uno dei più celebri giornali satirici d'oltralpe: Charlie Hebdo. Uno dei suoi romanzi più celebri, Les Ritals, è stato pubblicato nel lontano 1978 e racconta l'infanzia dello scrittore che, essendo figlio di un immigrato italiano, viveva nel quartiere poverissimo degli italiani recentemente immigrati. Cavanna si è sempre identificato con questo dispregiativo, "rital" utilizzato per indicare gli italiani immigrati. In realtà, avendo la madre francese ed avendo vissuto in un quartiere in cui si parlava forse più dialetto che italiano, la sua identità, anche letteraria, è ben lungi dal corrispondere a uno stereotipo.
Cavanna è sempre stato innamorato della lingua francese, e il suo stile esplosivo l'ha sempre glorificata in tutti i suoi aspetti, da quelli più forbiti a quelli più triviali.
La sua ossessione per lo scritto affascina i bibliofili e i ... bibliomani come me, le sue frasi lunghissime, e piene di incise restano impeccabili sul piano grammaticale. Non resisto alla tentazione di tradurre un breve passo, tratto appunto da Les Ritals (tradotto integralmente da Mariagiovanna Anzil nel 1980 per Bompiani con il titolo di Calce e Martello. La traduzione che segue invece è mia e inedita):
È poco dire che sapevo leggere. Non potevo
non leggere. Ovunque, qualsiasi cosa, sempre. Il coperchio della scatola di
camembert sulla tavola, durante il pranzo. Tutt’attorno c’era
scritto in lettere dorate “Camembert A. Lepetit e figli. Prodotto in
Normandia”. In piccolo, in un rettangolo: “Unione dei produttori del vero
camembert della Normandia”. E ancora più in piccolo, nelle medaglie: “Gran Premio
Esposizione Internazionale di Chicago, 1920”, “Medaglia d’Oro Esposizione
Internazionale di Parigi, 1880”, “Fuori Concorso Esposizione Coloniale, Parigi,
1934”… Leggevo tutto, ogni volta che mi capitava davanti agli occhi, cioè
trecentocinquantamila volte a pasto, dall’inizio alla fine leggevo tutto,
addirittura il nome del tipografo scritto nell’angolino in basso. Era veramente palloso, cercavo di guardare altrove, altrove c’era la scatola di sale Cérébos
con scritto il peso netto, l’indirizzo della fabbrica, puro sale marino tot
percento di magnesio tot percento di iodio – lo iodio, non c’è niente di meglio
per i bronchi, diceva la mamma, c’è il ferro nello iodio e dentro c’è anche la
tintura ed è per questo che dà un bel colorito - le medaglie e le esposizioni
internazionali, devono essere divertenti, le esposizioni internazionali, tutti
quei camembert, quelle scatole di sale, quei biscotti al burro, quei rotoli di
carta igienica messi in fila gli uni di fianco agli altri, su dei tavoloni, immagino,
e quei signori istruiti, quei presidenti della Repubblica, che ci passano davanti,
gravi, e assaggiano con la punta del dito, con la punta della lingua, e fanno un cenno con
la testa, assaggiano un'altra cosa, esitano, quello non è per niente male, ma
quest’altro, eh eh… e all’improvviso sorridono, in estasi, e non esitano più, questo,
ecco un ottimo camembert, un sale di qualità, un’eccelsa cera per parquet! E
appuntano, solenni e commossi, la Medaglia d’Oro al petto del valoroso
Fabbricante che, ben educato, dice: “No, davvero, è troppo, non c’era bisogno”,
smarrito dall’orgoglio e dalla voglia di pisciare, cinque ore in piedi ad
aspettare il Presidente senza osare spostarsi è davvero lunga.
Impossibile, quindi, non leggere. I manifesti
sui muri. Il “Divieto d’affissione” sui muri dov’è vietato affiggere manifesti,
per la legge di non so che giorno del luglio 1881. In un paesaggio, se c’è
qualcosa di scritto in un angolo, non vedo di più il paesaggio, leggo la
scritta. E sogno a occhi aperti tutto ciò che si può agganciare a ciò che dice la
scritta.
Le cose, per me, sono innanzitutto parole. Parole
scritte. Se mi dicono “cavallo”, se da solo nella mia testa penso “cavallo”,
vedo la parola “cavallo”, stampata, attenzione, non scritta a mano, stampata in
stampatello minuscolo, la vedo lì davanti a me, nero su bianco, con il gancio stizzoso
della “c” sull’estrema sinistra, le “l”, non troppo gradevoli nemmeno loro, che
superano le altre, la “v”pretenziosa in mezzo, le “a” molto
femmina, la “o” panciuta seduta sul suo culone. “Cavallo”. Dopo, soltanto dopo,
vedo l’animale. Tutto ciò avviene molto più velocemente di quanto lo spieghi. A
una velocità pazzesca. Ma ho comunque il tempo per vederla bene, la parola, con
tutti i suoi dettagli, la sua fisionomia, il suo cattivo carattere o il suo
occhiolino complice. Le parole sono veramente delle amiche per me.