Il mio recente soggiorno in Guadalupa sembra ormai passato da anni, ma ci sono momenti in cui ancora ripenso al magnetismo che esercitano su di me
le isole delle Antille. Certo, apprezzo le spiagge, la natura rigogliosa,
la cucina squisita, ma non c'è solo questo. Alle Antille mi sento a casa.
Chi segue questo blog ha letto i miei brevi ma frequenti
resoconti di viaggio in Martinica, che descrivono come il mio spaesamento iniziale si sia tramutato in un lento dissolvimento delle mie certezze e delle mie paure
grazie ai contatti umani e grazie all’affetto e all’accettazione della mia diversità
che ho trovato sul posto. Di certo l’incontro con scrittori le cui parole avevano costituito per me
oggetto di studio ma anche, in un certo senso, indicazioni esistenziali, è stato
fondamentale. Non a caso, questa esperienza, poi confluita nella raccolta
Archipels Littéraires, mi ha in un certo senso catapultato all’esterno della Martinica, portandomi
verso altre isole e altri lidi.
Non confondo lo scrittore con l’individuo e credo che, sul
piano accademico, il fatto di incontrare o no uno scrittore che si studia sia
del tutto irrilevante. Tuttavia, sul
piano umano, trovarsi a cena a casa di Patrick Chamoiseau o di Dany Laferrière è un’occasione unica per cercare di “sollevare il lembo della pagina”, di intravedere profondità e abissi che hanno un significato esclusivamente
esistenziale. Qualsiasi sia l'impatto di questa visione sulla nostra vita interiore, l’opera letteraria resta, offerta al mondo.
Non so se la grande qualità dei rapporti umani che sono
riuscita ad instaurare durante i miei viaggi caraibici sia dipesa dalla cultura
locale o da una maggiore disponibilità mia. Di certo, anche durante il mio
recente viaggio in Guadalupa, un viaggio senza velleità accademiche e lontano
da celebrities più o meno locali, si
è svolto all’insegna di rapporti umani autentici. Quando sono andata a bagnarmi
sotto le docce termali all'aria aperta, al di là della sensazione fisica di grande libertà e conforto, non mi sono trovata a disagio per l'inaspettata intimità con chi si bagnava vicino a me o aspettava il suo turno: al contrario. La prima reazione della mia "vicina di doccia" è stata chiedermi se "anche per me fosse la prima volta" con uno slancio empatico che a latitudini più vicine fatico a trovare.
Detto questo, il fatto di esser cresciuta a pane e carta stampata, e il fatto che per diversi anni su quella carta ci fossero stampate soprattutto parole caraibiche, mi offre la possibilità di nutrire un pregiudizio positivo nei confronti di molte delle mie esperienze antillane. Quanto alle mie traduzioni di romanzi caraibici (Chamoiseau, Agnant, Mars e poi di nuovo Chamoiseau), mi hanno soprattutto resa consapevole del fatto che le lingue e le culture delle Antille, dei Caraibi, si prestano a trasformarsi in letteratura, e danno luogo ad innumerevoli ambiguità (letterariamente efficaci). Non a caso, come ho scritto in Fort-de-France o la città invisibile, i luoghi reali sono talmente carichi di interpretazioni, di cambi di nome, di destinazione, di Storia e di storie da intersecarsi con infiniti luoghi immaginari, fino a rendersi inconoscibili.
Eppure, nell'arcipelago delle Saintes, al largo della Guadalupa, dove ancora si preparano i tourment d'amour, i dolci tradizionalmente ideati dalle donne dei pescatori che si struggevano nell'attesa dei loro uomini, ho visto tutta la nostalgia e tutta la resilienza negli occhi di una panettiera e le ho potute gustare nel dolce che aveva appena sfornato.