Quella del recensore è una figura spesso
bistrattata semplicemente perché, in molti casi, la sua riflessione sul libro che ha letto è personale e non è pienamente condivisibile da tutti i suoi potenziali lettori. Escludendo le riviste accademiche, prestigiose ma poco
lette al di fuori delle università, solo chi ha una rubrica fissa può
permettersi di scegliere il libro da recensire (e non sempre). Negli altri casi,
il volume viene assegnato al recensore dalla redazione. Di conseguenza,
alcune recensioni corrisponderanno a un libro apprezzato da chi le ha
scritte, altre invece daranno voce a qualcuno che si sarà sentito obbligato
a parlare di un’opera che non gli è piaciuta. Alcune redazioni preferirebbero che le recensioni fossero sempre entusiastiche o, almeno, avessero un tono
distaccato, poiché potrebbero aiutare a consolidare i rapporti con autori ed
editori. In ogni caso, “decaduta come strumento
promozionale, la recensione conserva il suo ruolo di riflessione approfondita,
di esame corredato da informazioni supplementari, soltanto agli occhi di una
minoranza di lettori ostinatamente motivati”, come notava Mariolina Bertini qualche tempo fa.
Sono interessata alla diatriba sulla citazione del nome del traduttore in una recensione, e lo cito sempre insieme
al titolo e agli altri dati bibliografici. Questa attenzione deriva sia dal fatto che io stessa sono traduttrice e so per esperienza quanto i traduttori contribuiscano alle peripezie di un libro nel paese della lingua d'arrivo, sia dal fatto che, in generale, chiunque dovrebbe assumersi la responsabilità di quello che scrive e i libri tradotti sono stati scritti dai traduttori. Tra l'altro, mie recensioni sono state spesso pubblicate sul sito IBS, come "recensioni della rivista L'Indice" a mia insaputa e senza la mia firma, eppure io rivendicherei il diritto ad essere citata anche come recensore. Tornando a noi, una cosa è citare il nome del traduttore in una recensione, che mi sembra atto dovuto, ben altro è sbilanciarsi recensendo, insieme al libro, anche la qualità della traduzione.
Mi è capitato una sola volta in 15 anni di
recensioni di segnalare una pessima traduzione, ma ho anche scritto
chiaramente che la responsabilità non era, probabilmente, del solo traduttore:
gli editori avevano affidato la traduzione di due romanzi dello stesso autore a
traduttori diversi, erano intervenuti sul paratesto in modo discutibile
("prestando" tra l'altro il titolo di un libro a un altro dello stesso autore), sembrava addirittura che l'editing non fosse
stato fatto per la frequenza di accordi non effettuati e di consecutio
temporum sballate.
Ci sono anche traduzioni che sono veri
capolavori, spesso opera di professionisti molto conosciuti che non perdono occasione
per sfoggiare competenza e creatività. Anche in quel caso, naturalmente, la traduzione viene ampiamente commentata, e per fortuna mi è capitato più spesso di
recensire traduzioni straordinarie che traduzioni improponibili. Tuttavia,
nella maggioranza dei casi, vengono pubblicate buone traduzioni che non sono però riuscite a
evitare qualche errore, palese per chiunque abbia mai tradotto e/o conosca la
lingua originale. Quando leggo una traduzione così, mi capita di non commentarla nella recensione, in quanto mi
sembra disonesto scrivere che la traduzione è ottima, ma mi sembra anche
ingiusto sottolineare uno o due strafalcioni in una traduzione complessivamente
più che dignitosa. Devo dire che, effettuando questa valutazione, tengo conto anche del mercato della traduzione in Italia, dove non è infrequente per i traduttori sentirsi proporre candidamente di lavorare gratis o per somme irrisorie e senza editing. Soprattutto tengo conto del fatto che il processo traduttivo è raramente controllato a livello editoriale e viene trattato in qualche caso come uno dei tanti passaggi necessari alla commercializzazione di un prodotto. Ma di questo parlerò in un altro post. Per il momento, se volete ridere un po' sul tema delle recensioni, vi consiglio la pagina dello stroncatore