Negli ultimi mesi ho passato purtroppo molto tempo in ospedale, senza per questo perdere la mia curiosità nei confronti degli aspetti linguistici della nostra società e delle ricadute della traduzione sul nostro modo di stare insieme. Mi ha colpito questo cartello che illustra i diversi tipi di camice portati dal personale di un ospedale in modo che i pazienti li possano riconoscere. Il messaggio è perfettamente trasmesso dalle diverse versioni linguistiche, sebbene dal punto di vista strettamente semantico i tre titoli siano piuttosto diversi in ciascuna lingua. In particolare, "A chi mi rivolgo?" è la domanda di un paziente esitante che cerca di riconoscere le mansioni del personale al fine di chiedere aiuto o informazioni alla persona giusta. (Un maligno potrebbe inferire che questo corrisponde al modo italianissimo di risolvere i problemi rivolgendosi non tanto a chi ha l'incarico di aiutare ma a chi "è inserito"). "Who am I talking to?", invece, si addice a un paziente che già sta parlando con il primo operatore disponibile e si chiede a posteriori se questo sia davvero la persona più adatta ad aiutarlo. La domanda in francese è più simile a quella in italiano, anche se ha una sfumatura meno drammatica. Non si può dire comunque che queste traduzioni non siano corrette, poiché il messaggio è efficace e chiaro. Questo sia detto a riprova del fatto che, al di là delle competenze di ciascun traduttore e delle teorie sulla traduzione, un po' di buon senso nel tradurre non guasta.
giovedì 23 marzo 2017
Della traduzione e altri demoni
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Traduzione con la T maiuscola
...in viaggio, sempre in viaggio, ché per viaggiare non bisogna necessariamente spostarsi.