In un contesto in cui la realtà ha di gran lunga superato molte distopie letterarie, avremmo invece bisogno di narrazioni di ampio respiro, di realismo magico, di leggerezza calviniana. Molti osservatori hanno lamentato la descrizione della pandemia attualmente in corso con il lessico della guerra. Credo che i media e i singoli facciano ricorso a quel lessico perché ci mancano le parole, ci manca l'abitudine a narrare efficacemente il quotidiano e lo straordinario. Questa abitudine ci manca perché la cultura mondiale si sta evolvendo verso un'iperspecializzazione dalla quale è sempre più difficile far scaturire l'inatteso e ancora meno fargli fronte. Complessivamente, assistiamo a un potenziamento e una generalizzazione della cultura scientifica, il che sarebbe un interessante arricchimento, se non andasse di pari passo con la deupauperazione e in alcuni casi lo svilimento della cultura umanistica di cui, credo, gli esseri umani hanno ancora bisogno.
giovedì 2 aprile 2020
C'è un narratore in sala?
Trovo simpatici i complottisti, perché sarebbero discreti romanzieri. Infatti nelle trame che cercano di diffondere c'è sempre un elemento realistico o almeno verosimile, e una logica che, in una dimensione parallela, sarebbe stringente. I complottisti di questi tempi propongono la narrazione come conoscenza del mondo, e in questo rispondono a un bisogno umano che, nonostante tutto, resta profondo e radicato. È un peccato però che, sempre più frequentemente, siamo costretti a fare ricorso esclusivo alle loro storie, spesso perché ne mancano altre. È un po' come se fossimo costretti a leggere sempre e solo romanzi rosa e mai García Márquez, Umberto Eco o Thomas Mann.
In un contesto in cui la realtà ha di gran lunga superato molte distopie letterarie, avremmo invece bisogno di narrazioni di ampio respiro, di realismo magico, di leggerezza calviniana. Molti osservatori hanno lamentato la descrizione della pandemia attualmente in corso con il lessico della guerra. Credo che i media e i singoli facciano ricorso a quel lessico perché ci mancano le parole, ci manca l'abitudine a narrare efficacemente il quotidiano e lo straordinario. Questa abitudine ci manca perché la cultura mondiale si sta evolvendo verso un'iperspecializzazione dalla quale è sempre più difficile far scaturire l'inatteso e ancora meno fargli fronte. Complessivamente, assistiamo a un potenziamento e una generalizzazione della cultura scientifica, il che sarebbe un interessante arricchimento, se non andasse di pari passo con la deupauperazione e in alcuni casi lo svilimento della cultura umanistica di cui, credo, gli esseri umani hanno ancora bisogno.
Così come i numeri dei morti e degli infetti da covid-19 non ci servono a interpretare la realtà se non sono attentamente contestualizzati, non è umano misurarsi con l'incommensurabile senza raccontarlo. Abbiamo bisogno di inserire ciò che sta accadendo in uno degli schemi narrativi che abbiamo sempre usato per comprendere il reale. C'è bisogno che qualcuno ci racconti efficacemente la pandemia da covid, con un romanzo, una canzone, un film, un'installazione, una pièce teatrale o con qualsiasi altra cosa che possa solleticare le corde del cuore. Inutile confrontarsi con i numeri incomprensibilmente piccoli che indicano la grandezza delle particelle del virus o con quelli incomprensibilmente grandi che ci parlano dei morti o dei malati. Rileggendo gli eventi secondo certi schemi narrativi, potremo riconoscerli e quindi rielaborarli, affrontarli con creatività. Godendo di un'elaborazione culturale, potremo, forse, capire.
In un contesto in cui la realtà ha di gran lunga superato molte distopie letterarie, avremmo invece bisogno di narrazioni di ampio respiro, di realismo magico, di leggerezza calviniana. Molti osservatori hanno lamentato la descrizione della pandemia attualmente in corso con il lessico della guerra. Credo che i media e i singoli facciano ricorso a quel lessico perché ci mancano le parole, ci manca l'abitudine a narrare efficacemente il quotidiano e lo straordinario. Questa abitudine ci manca perché la cultura mondiale si sta evolvendo verso un'iperspecializzazione dalla quale è sempre più difficile far scaturire l'inatteso e ancora meno fargli fronte. Complessivamente, assistiamo a un potenziamento e una generalizzazione della cultura scientifica, il che sarebbe un interessante arricchimento, se non andasse di pari passo con la deupauperazione e in alcuni casi lo svilimento della cultura umanistica di cui, credo, gli esseri umani hanno ancora bisogno.
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