Oggi 25 ottobre 2020 il Presidente del Consiglio Conte ha firmato e illustrato un DPCM relativo ad ulteriori misure eccezionali da applicare per arginare la seconda ondata di covid. Per quanto riguarda la scuola secondaria superiore, l'unico ordine di scuola che sarà toccato dal DPCM, tengo a specificare che il DPCM delega alle regioni e ai singoli Istituti la definizione delle misure da adottare, limitandosi a indicazioni di massima. Gli staff di dirigenza dei singoli istituti secondari superiori sono in attesa delle disposizioni dei singoli governatori per procedere e domani le lezioni si svolgeranno regolarmente.
Sottolineo inoltre che, contrariamente a quanto emerge da alcuni riassunti del DPCM che stanno già circolando anche su organi di stampa autorevoli, il DPCM non si riferisce ad attività da svolgersi principalmente in DAD (didattica a distanza) ma in DID (didattica digitale integrata) ovvero la didattica che già si sta attuando da questo inizio d'anno 2020-2021. Ciascun istituto la attua in modo diverso: dove insegno io alcune classi seguono le lezioni sia da casa sia da scuola a turno, altre scuole alternano giorni in presenza a giorni a distanza. Immagino che esistano ulteriori modulazioni.
Riconosco che, per la prima volta dall'inizio della pandemia, il Governo sembra aprire all'idea che la scuola, finora considerata un unico calderone, non lo è, se non altro perché i bambini dell'infanzia non hanno una vita sociale comparabile a quella degli adolescenti. Restringiamo quindi temporaneamente il campo alle scuole secondarie superiori. La mia opinione, per quanto sofferta, è che dovremmo passare alla didattica a distanza in questo momento. Magari anche soltanto per un breve periodo, per il tempo necessario a riprendere ad andare a scuola in presenza e in sicurezza. Questo per diversi motivi, il primo è che al momento la DAD non è un'alternativa alla normale frequenza scolastica pre-covid. Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna comparare la DAD alla DID. Personalmente, dopo aver provato la DID sul campo, la trovo didatticamente meno efficace della DAD. Ma non mi dilungo oggi su questo punto. Insisto però sul fatto che, a differenza di ciò che avviene in altri ordini di scuola e di ciò che avviene in altri servizi, i ragazzi delle superiori possono imparare anche a distanza, i docenti delle superiori possono insegnare anche a distanza, forti dell'esperienza e della formazione di questa primavera.
Invece i ristoranti non possono servire ai tavoli a distanza, i parrucchieri non possono pettinare a distanza e anche molti commerci al dettaglio si troveranno in difficoltà. L'aspetto paradossale è che i gestori di ristoranti e i negozianti rispettano, anche con investimenti importanti o perdite di guadagno, tutte le misure prescritte, ma devono subire ulteriori riduzioni nel servizio offerto, mentre i ragazzi delle superiori che confluiscono da tutta la provincia in mezzi affollati perché non hanno scelta, che si sbaciucchiano davanti ai cancelli della scuola perché sono adolescenti, sono ufficialmente ancora tenuti, anche se con qualche distinguo, a presentarsi a scuola.
Mi pare ovvio che queste indicazioni rispondano a una sorta di bisogno psicologico collettivo di rassicurazione. Ma mi pare che queste dispendiose rassicurazioni spostino troppo la prospettiva. La percezione generale è che si ammalino solo gli anziani, ma non è esattamente così, e anche se fosse così risolvere il problema abbandonandoli al loro destino mi sembrerebbe una soluzione un filo hitleriana. Gli anziani muoiono più dei giovani, probabilmente. Statisticamente. Ma se è possibile evitare a un qualsiasi nostro concittadino di finire in reparti di rianimazione che hanno già meno letti rispetto a febbraio proprio per le disposizioni anti-covid, mi sembra doveroso farlo. Senza contare quanti, dopo la rianimazione, dovranno affrontare un percorso di riabilitazione, o tutti coloro che stanno morendo per patologie indipendenti dal covid e mai diagnosticate. Tutti questi "effetti collaterali" che non rientrano nel computo dei morti di covid frenano comunque la vita economica e sociale di un paese. L'elefante nella stanza,in questo momento è che i privati che guadagnano dando un'immagine di sicurezza offrono condizioni di lavoro migliori di quelle che offre lo Stato ai propri dipendenti e cittadini tra deleghe, misure palliative, risparmi fuori luogo e appalti. Ma le scuole aperte significano che va tutto bene, sono un "messaggio positivo".
I nodi centrali della questione sono la salute e il lavoro. Nodi peraltro variamente intrecciati tra loro e soprattutto intrecciati all'enorme nodo costituito dalla cosa pubblica. Non entro nel merito dei dati numerici sui contagi, i focolai, i morti e i posti in rianimazione, perché altri ben più competenti di me fanno molta fatica ad interpretarli in maniera univoca ed efficace. Una cosa, però, è certa: non stiamo più vivendo una situazione che non si è mai verificata prima. Abbiamo compreso, a grandi linee, in quali condizioni si diffonde il virus, sappiamo quali strade si possono percorrere in ambito medico-assistenziale per ottimizzare l'offerta di cure, sappiamo come si può lavorare in condizioni di sicurezza. La maggioranza della popolazione si è attenuta e si attiene alle indicazioni sanitarie che sono state impartite anche a costo di rinunce sofferte.
Le persone che non hanno la possibilità di lavorare sono giustamente esasperate. Dopo tutti questi mesi, si aspettano riconoscenza per i sacrifici fatti e vivono come una punizione le ulteriori limitazioni imposte oggi. Se non è possibile farli lavorare in sicurezza (e, ripeto, non entro nel merito, perché non ne ho le competenze) è necessario attivare subito degli ammortizzatori sociali con risorse che abbiamo o che possiamo spostare verso l'ambito sociale per giustificati motivi. D'altra parte se, tanto per fare un esempio, i cinema e i teatri devono chiudere perché la distanza tra gli spettatori non garantisce una sicurezza in quanto l'ambiente è chiuso, allora bisogna considerare che anche i centri commerciali, le fabbriche e le scuole riducono in spazi molto angusti tante persone. Insomma delle due l'una: o le mascherine proteggono anche chi passa molto tempo in spazi chiusi, affollati, angusti e non ventilati, o no. Se no, le conseguenze devono essere le stesse per tutti, e l'eventuale distinguo dovrebbe basarsi sull'eventuale possibilità di offrire i servizi anche a distanza, oppure no, perché entrare nel merito dei "servizi essenziali" è un campo davvero spinoso, specie se gli operatori dei servizi "non essenziali" sono del tutto abbandonati a loro stessi sul piano economico. Non ho parlato molto degli operai perché ho pochi riscontri diretti, ma non credo sia impossibile applicare ciò che sto scrivendo anche al contesto delle aziende.
Più che a risolvere questioni pratiche, mi pare che chi ci amministra si sia concentrato a cercare compromessi, compromessi più populistici che logici. E, devo dire che quando in primavera "gli statali" erano diventati lo stereotipo di coloro che guadagnavano facendo poco o nulla, stavo per cascarci anche io. Perché sono una dipendente statale e non ho mai smesso di lavorare. Perché anche io sono arrabbiata. Anche io ho fatto rinunce, ho dovuto adeguare ampi stralci della mia vita personale, familiare e professionale a una situazione imprevista. Forse anch'io, a un certo punto, mi sarei aspettata riconoscenza. Ma non mi voglio giustificare, perché la verità è questa: stavo per iniziare a recriminare, rievocando gli anni economicamente (e, come dire, strutturalmente) più duri per me, durante i quali non ho mai avuto alcun tipo di solidarietà da parte di chi faceva altri mestieri, anzi. Al massimo un "te lo sei cercata", mentre la norma era: "ho studiato meno di te e guadagno dieci volte di più". Stavo per pubblicare i dati relativi alle aziende che hanno chiesto la cassa integrazione causa covid per i loro dipendenti che non hanno mai smesso di lavorare. Ma no. No, lasciamo perdere. Meglio non giudicare una o più categorie per la disonestà o il rancore di alcune persone che vi appartengono.
Ma oso ribadire l'urgenza di ammortizzatori sociali, di una certa coerenza e di soluzioni per le famiglie con figli di età tale da non poter essere lasciati in casa da soli. Perché i genitori esistono in tutte le categorie e chiunque abbia figli, anche chi può lavorare e guadagnare, vive un momento di grave difficoltà. Ora più che mai, chi lavora e ha figli non opera nelle stesse condizioni di chi lavora e non li ha, perché a causa del covid non esistono più i prolungamenti all'asilo e all'infanzia, perché in questo contesto si esita a far ricorso a nonni e baby sitter, perché non c'è per nessuno la possibilità di congedi straordinari per occuparsi della loro salute
Non credo che cercare di acquistare dai piccoli esercizi, ordinare piatti da asporto nei ristoranti locali e via dicendo risolverà molto. Comunque si può cominciare da questo.
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