La Francia sta celebrando variamente il bicentenario della nascita di Charles Baudelaire, ne abbiamo parlato qui facendo riferimento alla residenza di Patrick Chamoiseau al Musée d'Orsay. Vorrei celebrare Baudelaire anche qui, riportando la poesia che preferisco tra quelle del grande poeta e traduttore. A seguire, spiegherò perché "À une passante" è da considerarsi una summa dei temi cari a Baudelaire in un post più lungo e più accademico del solito. L'immagine è di Constantin Guys, cui sono dedicati i saggi di Le Peintre de la vie moderne.
À une passante
La rue assourdissante autour de moi hurlait.
Longue, mince, en grand deuil, douleur majestueuse,
Une femme passa, d’une main fastueuse
Soulevant, balançant le feston et l’ourlet ;
Agile et noble, avec sa jambe de statue,
Moi, je buvais, crispé comme un extravagant,
Dans son œil, ciel livide où germe l’ouragan,
La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
Un éclair…puis la nuit ! – Fugitive beauté
Dont le regard m’a fait soudainement renaître,
Ne te verrai-je plus que dans l’éternité ?
Ailleurs, bien loin d’ici ! Trop tard ! Jamais peut-être !
Car j’ignore où tu fuis, tu ne sais où je vais,
O toi que j’eusse aimée, o toi qui le savais !
1. La modernità
Nelle parole di Baudelaire in Le Peintre de la vie moderne, “La modernité, c’est le transitoire, le fugitif, le contingent, la moitié de l’art, dont l’autre moitié est l’éternel et l’immuable” In questo contesto la situazione presentata è di per sé significativa: si tratta della visione fuggevole di una sconosciuta colta in movimento, visione analoga a quelle dei contemporanei quadri impressionisti, e conforme all’estetica dello schizzo quale la delinea il poeta nel Peintre de la vie moderne. La donna, caratterizzata già dal titolo come transitoria in senso etimologico, poiché “passante”, pare quasi aumentare la sua velocità nel corso del sonetto: viene definita “Fugitive beauté” (v.9), e più in basso (v.13) si ribadisce “tu fuis”. Interessante notare inoltre che il personaggio “passa” sia in senso temporale che in senso spaziale nella vita e nel campo visivo del poeta, arricchendo così l’accezione comune della parola “passante” del suo significato etimologico. Si noti a questo proposito l’opposizione (v.12) tra “ailleurs, bien loin d’ici” (indicazioni di luogo) e “trop tard! Jamais” (indicazioni di tempo). La seconda parte del verso implica una polisemia della parola “passante” nel senso della modernità: la donna passa non solo per non tornare indietro, ma anche per non tornare mai. “Le feston et l’ourlet” del v.4 contribuiscono anch’essi all’immagine di modernità della donna, in quanto termini riferibili alla moda contemporanea a Baudelaire, e non certo ad un’astratta classicità. L’importanza dell’abbigliamento in un ritratto, e l’importanza dell’abbigliamento “moderno”, vengono sottolineate in vari luoghi dal poeta.
Ci sono altre caratteristiche che rendono questa visione un soggetto proprio all’artista moderno. È opportuno riferirsi di nuovo a Le Peintre per analizzare le caratteristiche dei soggetti consoni ai pittori della vita moderna:
Pour définir une fois de plus le genre de sujets préférés par l’artiste, nous dirons que c’est la pompe de la vie (…). Notre observateur est toujours exact à son poste, partout où coulent les désirs profonds et impétueux (…) partout où s’agitent les fêtes et les fictions qui représentent ces grands éléments de bonheur et d’infortune.
Non dobbiamo dimenticare che la “passante” è in lutto, anzi “en grand deuil” (v.2); quindi, mentre da una parte essa richiama implicitamente una cerimonia o una situazione “d’infortune”, dall’altra è una degna rappresentante della “pompe de la vie”. A più riprese si sottolinea la sua eleganza pomposa e la sua nobiltà: “grand deuil” e “douleur majestueuse” (v.2) “main fastueuse” (v.3) “noble”(v.5). Persino il ritmo lento e ondeggiante delle quartine pare mettere in evidenza la solennità della figura.
La visione della passante assurge quindi a dignità d’oggetto d’arte perché appartiene al contingente. La modernità, però non è che la metà dell’arte, come si è visto. Anche nel componimento in esame è possibile rintracciare nella scena fugace e nel personaggio della sconosciuta aspetti eterni e immutabili. Essi sono legati al ruolo del tempo nel sonetto, la cui analisi dettagliata si rende ora necessaria.
2. Il tempo e l’eterno
Il sonetto si pone da subito in maniera problematica nei confronti della dimensione temporale. La narrazione della semplice circostanza che è oggetto del componimento inizia, e si prolunga sino al verso 6, al passato. Troviamo in seguito un presente indicativo: “Dans son œil, ciel livide où germe l’ouragan”(v.7), che verrà ripreso dal presente di “fascine” e “tue” (v.8): si tratta di un brusco passaggio temporale, che le leggi grammaticali non possono giustificare. Con questi verbi il poeta di fatto esce dal tempo in cui si era espresso fino a quel momento, e si ritrova in una dimensione in cui il tempo o non è, o è fermo. Infatti il presente indicativo, per sua natura grammaticale, non si riferisce necessariamente ad un determinato piano temporale, e certamente non lo fa qui, dove l’evento descritto è già stato situato nel passato. Esso può riferirsi a verità generali, sempre valide, situate in una sorta di atemporalità. Proseguendo nella lettura fino al verso 13 si trovano i verbi: “m’a fait” (v.10), “verrai” (v.11), “fuis” e “vais” (v.13). I primi due non sono coniugati al presente dell’eternità. Mentre il futuro semplice indicativo del verso 11 ha significato solo se lo si riferisce ad un’immaginaria principale al presente (altrimenti la “consecutio temporum” non sarebbe rispettata), il passato prossimo del verso 10 è in apparenza incoerente con la nostra tesi, poiché si tratta appunto di un passato. Eppure il confronto con il passato remoto utilizzato nei primi sei versi rende evidente che, anche in questo caso, il punto di riferimento è il presente eterno, poiché si parla di un evento le cui conseguenze agiscono ancora sul parlante. Lo sguardo della “beltà fuggitiva” ha fatto improvvisamente rinascere il poeta, che nel tempo del presente eterno si sente sempre rinato. Il verbo non può quindi fare riferimento alla situazione ben diversa dell’ultimo verso, il verso della ricaduta nello spleen: “O toi que j’eusse aimée, o toi qui le savais!” In quest’ultimo il piano temporale di riferimento è quello della narrazione, come ai primi sei versi: il soggetto ricorda che avrebbe amato (allora, quando la vide) la passante, la quale (allora) lo sapeva. Ora tuttavia il varco per l’eternità si è richiuso, forse per sempre. Il contrasto tra il momento dell’enunciazione dell’ultimo verso, impregnato di storicità, e i versi 6-13, riferiti ad un eterno presente, è bruciante.
Un’esperienza temporale ed estetica analoga a quella descritta si trova nel poemetto in prosa XVI, “L’horloge”, del quale si citano le frasi centrali. Il poeta, parlando della sua donna, “la belle Féline”, scrive:
au fond de ses yeux adorables je vois toujours l’heure distinctement, toujours la même, une heure vaste, solennelle, grande comme l’espace, sans divisions de minutes ni de secondes, - une heure immobile qui n’est pas marquée sur les horloges, et cependant légère comme un soupir, rapide comme un coup d’œil.
E più in basso :”Oui, je vois l’heure; il est l’Eternité!”
Questa dimensione altra, evocata magistralmente dal poeta tramite l’intersecarsi dei piani temporali, è forse l’elemento di immutabilità più evidente, e contrasta con gli elementi transitori di cui si è parlato nel primo paragrafo, completandoli. Vi sono comunque altri elementi che si collegano all’eternità, e che non sono legati direttamente a questo sofisticato meccanismo temporale.
In particolare, un altro elemento grammaticale estremamente efficace nel suggerire una dimensione eterna, sono gli articoli determinativi al verso 8: ”La douceur qui fascine et le plaisir qui tue”[10]. Per definizione l’articolo determinativo si riferisce ad una realtà determinata, che si conosce già, in questo caso cioè, preesistente alla donna. La visione della sconosciuta quindi ha il potere di evocare questa realtà, forse di rappresentarla agli occhi del poeta, ma non di crearla ex novo. Il soggetto infatti non beve nell’occhio della sconosciuta una generica “douceur qui fascine” né un generico “plaisir qui tue”. Egli vi beve la dolcezza e il piacere che in quanto già determinati la prima volta che vengono nominati, non dipendono dalla donna né dalla sua transitorietà. La visione della passante è un’occasione (in senso montaliano ante litteram, si direbbe) per il vero artista di accedere ad una realtà ulteriore, preesistente, e che lui solo è in grado di percepire.
Altro elemento immutabile ed eterno in contrasto con le caratteristiche moderne e transitorie della donna, è la sua “jambe de statue”(v.5). Quest’immagine si oppone efficacemente a quella della transitorietà anche dal punto di vista del lettore più ingenuo. Ma il conoscitore di Baudelaire troverà un passo della sezione “Eloge du maquillage” del Peintre de la vie moderne che arricchisce notevolmente questo giudizio superficiale. Parlando del trucco, infatti, il poeta compie una breve apologia della cipria, che ha il merito di eliminare le macchie della pelle creandovi una “unité abstraite”, poi prosegue: “laquelle unité, comme celle produite par le maillot, rapproche immédiatement l’être humain de la statue, c’est à dire d’un être divin et supérieur”[11]. Questa frase è pertinente con il verso in questione soprattutto perché si riferisce al “maillot”, la calzamaglia. A parte la curiosa rivelazione sull’origine quotidiana del verso, la citazione sottolinea che l’obiettivo dell’imitazione artificiosa delle caratteristiche delle statue è quello di raggiungere un’ideale bellezza.
Quest’ultimo esempio ci fa intuire che gli elementi immutabili appena elencati hanno uno stretto rapporto col concetto di bellezza e con quello di idealità.
3. L’ideale e il bello
Non è luogo per tentare una definizione complessiva dell’ideale nella poetica baudelairiana. Tuttavia, per mostrare in che modo esso si esprima nel sonetto in esame, é opportuno confrontare rapidamente il componimento con un altro delle Fleurs du mal: "L’idéal". In questo sonetto, l’ideale viene contrapposto ad una serie di immagini falsamente belle, e connotate nel senso della modernità, quali le “beautés de vignettes” (v.1), i “pied à brodequins” e i “doigts à castagnettes” (v.3). La nostra tesi precedente viene fin qui confermata: l’ideale fa parte della metà eterna dell’arte.
Nelle terzine di questo sonetto vengono forniti due esempi di ideale, contrapposti agli esempi di falsi ideali delle quartine. L’esempio che interessa qui è quello di “Lady Macbeth, âme puissante au crime” (v.10). Lady Macbeth è il simbolo della passionalità, da sempre legato al male assoluto, sublime, alla tragedia (cfr. “rêve d’Eschyle”, al v.11 di questo sonetto) ed all’omicidio. Si può desumere quindi da questo verso che la violenza passionale, ed in particolare un certo tipo di violenza femminile attenga all’ideale. Anche la passante trasmette una sensazione di violenza, non del tutto spiegabile ad una prima lettura. Infatti, il lutto ed il dolore, sebbene maestoso, non sono elementi sufficienti per spaventare il lettore. “La douceur qui fascine et le plaisir qui tue” (v.8) sono inquietanti, ma non sono attributi diretti della passante, bensì dell’orizzonte che il poeta sa scorgere nel suo occhio. C’è un altro messaggio che la passante invia, e si tratta di un messaggio subliminale, in un certo senso, perché non percepibile immediatamente. La “douleur majestueuse” (v.2) e la “main fastueuse” (v.3) inviano messaggi di morte, poiché contengono la parola “tueuse”, assassina. Dal punto di vista fonetico, il termine risalta rispetto all’insieme, perché costituisce la parte in rima delle due parole e si tratta di rima ricca, vi cade l’accento, e per motivi metrici, le sue vocali devono essere scandite come se vi fosse una dieresi sulla lettera e. La donna viene connotata da subito come legata alla morte (non a caso è a lutto), e forse lei stessa è un’assassina. La morte è quindi presente, seppur sublimata, come nel sonetto "L’Idéal" e, come in questo, è associata ad una donna. Aggiungiamo inoltre che l’associazione della morte con il piacere, la bellezza, e il tema del passaggio è, anche tradizionalmente, materia sublime.
Il poemetto XIII dei Petits Poëmes en prose, "Les veuves" è una contaminazione tra “A une passante” e “Les petites Vieilles”, e nella sua seconda parte dipinge in modo inequivocabile un primo ed ultimo incontro tra il narratore e la stessa sconosciuta oggetto del sonetto:
C’était une femme grande, majestueuse, et si noble dans tout son air, que je n’ai pas souvenir d’avoir vu sa pareille dans les collections des aristocratiques beautés du passé. Un parfum de hautaine vertu émanait de toute sa personne. Son visage, triste et amaigri, était en parfaite accordance avec le grand deuil dont elle était revêtue. Elle aussi, comme la plèbe à laquelle elle s’était mêlée et qu’elle ne voyait pas, elle regardait le monde lumineux avec un œil profond
Si tratta evidentemente dello stesso personaggio, come risulta dalle coincidenze lessicali evidenziate. Eppure nella versione in prosa il personaggio si spoglia dei suoi aspetti transitori. Infatti in questa versione la donna non è una passante, non è vista in movimento, e non vi sono scarti di tempi verbali. Il poeta la guarda inoltre per due volte, il che rende il testo completamente estraneo alla poetica dell’”éclair…puis la nuit!”(v.9). Infine, anche il rientro a casa della donna viene immaginato con una dovizia di particolari che toglie a questa sparizione le caratteristiche del “lampo”. In questo contesto, persino le attribuzioni della “pompe de la vie” acquisiscono un altro significato, ci pare, perché non sono più associate al “feston et l’ourlet”, e perché l’elemento moderno è “assorbito” dalla situazione nella quale l’incontro si verifica: la donna sta ascoltando senza pagare il biglietto un concerto del quale riesce a cogliere solo alcuni brani. La stessa donna che in versi era “passante”, nel più ampio senso del termine, diviene nel poemetto un simbolo immobile. I suoi attributi, se decontestualizzati, si caricano di significati opposti.
In altre parole l’ideale non è definibile chiaramente, e lo stesso personaggio può aprire una via verso l’ideale pur essendo connotato parzialmente nel senso del transitorio, come nel sonetto, o può rappresentare la bellezza nella miseria, e forse l’ideale stesso, come nel poema in prosa. L’ideale è ineffabile. Ed eccoci giunti inconsapevolmente al nucleo dell'argomentazione: ciò che ci permette di identificarlo è proprio questo: la sua “quantité est excessivement difficile à determiner”. Esso non è definibile se non per la caratteristica di sottrarsi ad ogni definizione. L’ideale sfugge, l’ideale é altrove, e forse vi deve rimanere per non perdere il suo incanto.
Qualsiasi oggetto poetico attiene potenzialmente all’ideale, quindi, purché sia lontano, spazialmente o temporalmente. L’ideale diviene così, come il personaggio stesso della passante, l’anello di congiunzione tra l’eterno e il transitorio. Infatti, l’ideale è immutabile, ma distante, mentre gli elementi circostanziali sono, è vero, vicini e concreti, ma lo scorrere del tempo li allontana, rendendoli distanti come l’ideale eterno. Essi costituiscono un “éclair”, di una rivelazione che il poeta non può avere che per un istante e della quale rimane solo il ricordo una volta ripiombati nella “nuit”, nella notte del già passato. Fondamentale diviene a questo punto il discorso sulla memoria.
4. La memoria
Nella versione del 1860 di “A une passante”, il verso 10 era “Dont le regard m’a fait souvenir et renaître”. L’accento era dunque posto sulla memoria. Da questo verso poi scartato si evince che quest’ultima scaturisce dallo sguardo della donna. Il termine “souvenir” non si riferisce quindi al ricordo della donna, ma al ricordo di qualcos’altro, che la donna evoca. Si stabilisce, in altre parole una corrispondenza tra l’oggetto poetico connotato nel senso della modernità ed un “ailleurs” temporale eterno ed immutabile.
Infine, come si è visto, nel sonetto in esame il “narratore” ricorda un episodio. Ora, per l’estetica baudelairiana il fatto di scrivere, di eternare una visione fuggitiva é in sé paradossale, proprio per il rapporto tra eternità e fuggevolezza. Che cosa significa infatti immortalare ciò che è “moderno” (nel senso specificato più sopra) se non fuggire dal tempo nel suo inesorabile cammino? Da questo punto di vista la memoria, creatrice dell’arte, svolgerebbe una funzione analoga a quella dell’ “ivresse”, così come, reciprocamente, a volte l’ebbrezza può svolgere una funzione analoga a quella della memoria. Baudelaire infatti afferma parlando della funzione dell’ubriachezza nella poesia di Poe:
Remarquez les mots: précédé ou suivi, impliquent que l’ivresse pouvait servir d’excitant aussi bien que de repos. Or, il est incontestable que, - semblables à ces impressions fugitives et frappantes, (…) qui suivent quelque fois un symptôme extérieur (…) et qui sont elles-mêmes suivies d’un événement semblable à un événement déjà connu et qui occupait la même place dans une chaîne antérieurement révélée (…) il existe dans l’ivresse non seulement des enchaînements de rêves, mais des séries de raisonnements qui ont besoin, pour se reproduire, du milieu qui leur a donné naissance. Si le lecteur m’a suivi sans répugnance, il a déjà deviné ma conclusion: je crois que, dans beaucoup de cas, non pas certainement dans tous, l’ivrognerie de Poe était un moyen mnémonique, une méthode de travail, méthode énergique et mortelle, mais appropriée à sa nature passionnée. (L’art romantique)
Nella sezione “L’Art Mnémonique” del Peintre de la vie moderne, la memoria viene vista sotto un altro aspetto: essa sarebbe una facoltà sintetica, che impone una gerarchia tra le caratteristiche dell’oggetto d’arte. Lo strumento della memoria permette quindi a Baudelaire di collocarsi agli antipodi del realismo, nel quale ad ogni dettaglio è assegnato “democraticamente” lo stesso spazio. Non a caso già nel Salon de 1859 egli affermava: ”L’artiste, le vrai artiste, le vrai poète ne doit peindre que selon qu’il voit et qu’il sent. Il doit être réellement fidèle à sa propre nature”. La soggetività dell’artista è quindi centrale nella creazione poetica. Con essa le sensazioni, la natura del poeta, e, ci pare, anche la sua memoria.
Si può concludere che nel sonetto esaminato si verifica una sorta di circolo vizioso che mette in contatto la memoria, l’ideale, e il tempo, che possono tutti, in qualche accezione, essere rappresentati dalla passante, e che si fondono nell’opera d’arte. La memoria è indispensabile nella creazione artistica perché è un ponte tra il presente transitorio ed il passato che è lontano, e per ciò stesso ideale. Rievoca i dettagli secondo una gerarchia creata dalla soggettività dell’artista, è fuga dal tempo, può dilatare e attualizzare l’istante sublime già fuggito, rendendolo bello nella sua natura doppia, transitoria perché si tratta di un istante, ed eterna perché l’istante è “immortalato”. Questa rappresentazione diviene anche rappresentazione dell’ideale, perché l’istante resta irraggiungibile, o comunque mai raggiunto. La memoria insomma è nostalgia dell’infinito, “D’un infini que j’aime et n’ai jamais connu”.
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