Macbeth, le cose nascoste, di Angela Dematté e Carmelo Rifici è uno spettacolo che mi ha colpito particolarmente. Per chi, come me, ha avuto a che fare con Macbeth anche per motivi professionali, toccando con mano la profondità e la polisemia di questa tragedia, la lettura psicanalitica di questo dramma shakespeariano è certo cosa nota. Eppure questa rappresentazione si è costruita attorno a un approccio rigoroso, poiché si avvale del lavoro di un'equipe scientifica costituita da uno psicanalista e da un'esperta di comunicazione non verbale e stili relazionali.
Soprattutto, l'approccio psicanalitico diviene qui davvero soltanto un mezzo per indagare quanto e come, dopo oltre cinquecento anni da quando è stato concepito, Macbeth continui ancora a parlarci di noi. E così gli attori, tra la narrazione di sé e l'interpretazione scenica, tessono trame in cui la nonna che ci ha insegnato un rito per far passare il mal di testa era forse una delle streghe di Macbeth, il padre che non accettava le scelte e il profondo essere del figlio ricorda Duncan, il collega verbalmente violento aveva attratto a sé gli stessi fenomeni suscitati da Macbeth e da sua moglie con le loro scelleratezze.
Tra questi scorci di vite privatissime, queste confessioni frammentarie, queste rappresentazioni di memorie individuali e collettive, naturalmente si manifestano i personaggi archetipici eppure stranamente familiari. Il dramma scozzese, così modificato, diventa quindi qualcosa di molto vicino a ciò che forse, originariamente, era: un garbuglio irrisolto di emozioni e di casi, un incubo, sì, ma ad occhi aperti, che mendica di essere risolto in qualche modo. Perché tra il cielo e la terra tutto balla.
Nessun commento:
Posta un commento
Se vuoi commentare, sei libero di farlo. Se scrivi volgarità o se pubblicizzi un prodotto che non mi interessa, cancellerò il tuo commento.